(da: “Manuale di sociologia della famiglia”, P. Donati, Laterza ed., Roma, 1999)
“La società appartiene all’ambito della cultura, mentre la famiglia è l’emanazione, a livello sociale, di quei requisiti naturali senza i quali non ci potrebbe essere la società, né, in fondo, il genere umano”.
C. Lèvi-Strauss (1967)
La sociologia della famiglia tenta di spiegare il significato sociologico del fenomeno familiare.
A tal fine, essa non si chiede “che cosa è la famiglia?” ma “che cosa è (che cosa vuol dire fare) famiglia?”. La famiglia infatti non è un oggetto, già predefinito, ipostatizzato (concreto).
É una realtà sociale vitale, capace di assumere forme nuove e di rigenerarsi continuamente.
Fare famiglia significa partecipare ad un fenomeno sociale specifico (sui generis), caratterizzato da istanze e dinamiche peculiari che interagiscono e si differenziano da tutte le altre dimensioni della società.
La famiglia è un fatto emergente, è:
Rispetto ad altri gruppi primari (ad es. il gruppo di amici), la famiglia è connotata da un modo particolare di vivere la differenza di “gender” (® sessualità) e le obbligazioni fra generazioni (® parentela).
Si costituisce in base a fattori sociologici autonomi.
La famiglia non è esclusivamente la risultante di elementi individuali (motivi psicologici) o collettivi (motivi economici, politici, religiosi) o di una loro mescolanza.
Essa sorge primariamente per impulsi interni che non sono riconducibili a forze esterne o ad aspetti quali il puro sentimento, l’utilità, l’autorità, il potere, la ricerca di un senso ultimo della vita, ecc., che, pur intrecciandosi con i suddetti impulsi, prevalgono in altre forme di relazione.
I fattori che creano la famiglia hanno a che fare con la logica dello scambio simbolico, del dono, della reciprocità tra i gender e tra le generazioni.
La famiglia, dal punto di vista filogenetico, ha dato origine all’evoluzione della specie umana e, dal punto di vista ontogenetico, ha rappresentato e rappresenta, per ogni singolo individuo, il mediatore principale tra quest’ultimo e la società.
Così come tutte le altre relazioni sociali, la famiglia rimanda a referenze simboliche ed a legami parzialmente esplicitabili, latenti, nascosti, indicibili, sebbene vissuti.
Essa non solo attua delle mediazioni ma consiste di mediazioni che, come tali, non sono totalmente visibili, formalizzabili o quantificabili e di cui l’individuo è relativamente consapevole. Le relazioni familiari sono fluide e sempre in divenire!
Rispetto ad altre forme sociali, la famiglia ha però dei tratti peculiari che risiedono nella specificità dei suoi referenti simbolici e dei suoi legami.
Tali referenti sono caratterizzati da una particolare “solidarietà identitaria” (cioè un’identità basata su precisi nessi solidali) dipendente da un particolare codice culturale che è quello dell’amore in una funzione di “generatività” (fisico-biologica, psicologica e sociale).
N.B. La famiglia come “gruppo sociale” e la famiglia come “istituzione sociale” non sono la stessa cosa. La seconda nasce dalla formalizzazione della prima.
Nella famiglia come istituzione sociale, le molteplici mediazioni (tra individuo e ambiente extrafamiliare, tra elementi naturali e culturali, tra dimensioni private e pubbliche), che la famiglia stessa realizza, sono diventate esplicite e sono state regolate.
Oggi è in atto un ampio dibattito sul “declino” della famiglia.
Sembra infatti che le funzioni insostituibili svolte da quest’ultima stiano venendo meno.
Pare cioè che la famiglia riesca ad adempiere ai suoi compiti (allevamento-educazione dei figli e sostegno affettivo tra adulti) solo parzialmente.
Ci si chiede allora se sia vero o meno che essa ha perso rilevanza e peso sociale.
A tale domanda c’è chi risponde negando la tesi del declino al fine di giustificare lo stemperamento della famiglia in una pluralità di forme di convivenza e chi risponde sopravvalutando la crisi da essa attraversata.
In realtà, sebbene si stia verificando, all’interno della famiglia, un oggettivo processo di “deterioramento”, emergono costantemente nuove forze di rigenerazione e valorizzazione della famiglia.
La crisi che sta investendo quest’ultima ha cioè prodotto nuovi tipi di famiglia che, per essere adeguatamente compresi, devono essere osservati ed analizzati seguendo una prospettiva storico-sociale.
La famiglia non è soggetta a leggi di evoluzione lineare ma è un sistema sociale vivente che si restringe o si allarga, che perde o acquista funzioni, a seconda del “contesto” (=tipo di insediamento territoriale, grado di divisione sociale del lavoro, forma di comunicazione e di produzione economica, livello di potere dello Stato, tipologia di servizi, ecc.) in cui vive.
La famiglia contemporanea è un sistema complesso, differenziato, a confini variabili, in cui si realizza la strutturazione dell’individuo come persona-in-relazione, come essere relazionale.
La famiglia è una relazione sociale piena le cui forme e contenuti si modificano al mutare, incessante ed inevitabile, della realtà sociale.
Quest’ultima influenza le relazioni familiari sia internamente sia esternamente attraverso le mediazioni sociali che, giorno dopo giorno, la famiglia attua.
LA FAMIGLIA COME FENOMENO SOCIALE PRIMORDIALE
La famiglia non è: una cosa, un’entità oggettivabile.
La famiglia è: una realtà immateriale, simbolica
elemento rigenerativo della società
fondamento dell’identità personale
La definizione di famiglia dipende dal punto di vista da cui la si osserva.
Punto di vista:
Sociologicamente, il termine “famiglia” designa una vasta gamma di forme sociali primarie che presentano strutture relazionali molto diversificate, a confini culturalmente variabili.
Nonostante ciò, la famiglia può essere definita.
Ogni cultura ha una sua rappresentazione, prevalente, di famiglia.
Uno specifico codice simbolico familiare fonda una specifica cultura.
Sul versante sociologico, la famiglia può essere descritta come:
In realtà, se si vuole accedere ad una visione più profonda ed intima della famiglia, bisogna assumere, quale modello esplicativo, quello “genetico-relazionale”.
Per quest’ultimo, la famiglia è essenzialmente:
relazione sociale o network di relazioni.
L’approccio genetico sottolinea il carattere primordiale della famiglia.
La famiglia è fenomeno primordiale in un triplice senso e cioè:
La società nasce quando nasce la famiglia (Lèvi-Strauss).
Agli esordi della società non c’è l’individuo singolo ma il gruppo familiare (tribù, clan o gens).
Di fatto, se l’individuo è isolato, muore.
La famiglia è pre-condizione di ogni possibile acquisizione di civiltà.
In essa si costruisce la distinzione tra familiare e non-familiare.
Il pensiero (cognitivo e simbolico), tratto distintivo dell’uomo, si attiva solo quando il distinguo tra familiare e non-familiare si è realizzato, è stato interiorizzato ed è fruibile nei rapporti interpersonali.
Dire che la famiglia è un fenomeno primordiale significa dire che essa è fonte di ciò che nessun’altra relazione sociale può dare (primordiale = fontale).
La famiglia infatti è:
Detto ciò, ogni tentativo di eliminare la famiglia è vano e fallimentare (vedi le “comuni” nord americane, i “kibbutz” israeliani, alcune società comuniste, ecc.).
In particolare, la relazione familiare è stata ed è tuttora una modalità sociale che permette di connettere, più o meno strettamente, 4 dimensioni e cioè:
La famiglia si forma quando due persone si donano, riattivano il dono mediante la reciprocità e generano grazie alla sessualità.
Essa è caratterizzata da un codice simbolico specifico, l’amore, che, di volta in volta, può essere inteso come dono, reciprocità, generazione, manifestazione sessuale.
N.B. Empiricamente si ha > connessione nella famiglia istituzionale e < connessione nella convivenza.
Le suddette 4 dimensioni possono modificarsi nel tempo e, a seconda del periodo storico o del contesto, possono attualizzarsi in modo parziale o totale.
LA FAMIGLIA NELLA STORIA
Il senso, le strutture e le funzioni manifeste della famiglia mutano al variare del tipo di società.
In sociologia, per comprendere la continuità/discontinuità delle forme familiari, si suole rapportare queste ultime alla formazione storico-sociale1 in cui esse si presentano.
Sinteticamente, è possibile rinvenire:
Famiglia = tribù.
Non esiste la famiglia nucleare in senso stretto (non esiste cioè la famiglia come economia domestica privata), la vita in comune occupa la maggior parte del tempo quotidiano.
Nonostante ciò, sono presenti dei precisi riti di accoppiamento e matrimonio tra un uomo ed una donna; i genitori distinguono i propri figli da quelli degli altri e le gerarchie di parentela sono molto strutturate.
Nella civiltà greca e, successivamente, in quella romana, la famiglia viene intesa come aggregato naturale.
Essa coincide con la casa (oikìa, domus) e ha una duplice valenza: unione di un uomo e di una donna (e dei loro figli) e di un padrone ed uno schiavo/i (“domestico”).
La famiglia è la cellula del villaggio2, il quale è retto dal più anziano dei capifamiglia.
L’autorità è patriarcale e la discendenza è patrilineare.
Tra la civiltà greca e quella romana esistono però delle differenze: la prima considera la famiglia come sfera privata per eccellenza, la seconda tende invece ad una maggiore pubblicizzazione di essa.
In seguito, con il declino dello stato greco e, poi, con la caduta dell’impero romano, le famiglie cominciano a frammentarsi e a disperdersi sul territorio; sorgono nuovi raggruppamenti familiari di tipo comunitario (es. le “comunità di fratelli”, le “comunità tacite”, ecc.) che riorganizzano la società in assenza di un potere politico centrale forte.
Verso la fine del Medioevo, la configurazione delle famiglie in Europa è estremamente diversificata: nelle città prevalgono le forme familiari nucleari, in campagna forme familiari estese o multiple; nell’Europa sud orientale sono più diffuse le “grandi famiglie”, in quella centrale e del nord predomina la famiglia nuclearizzata.
Dai “borghi”, emancipatisi dal potere del Castello, nascono nuove famiglie che cominciano a commerciare e che, in un secondo tempo, confluiranno nella “borghesia”, la classe dominante della società moderna.
L’apertura di nuovi mercati (‘500-‘600) e la rivoluzione industriale (‘700) danno un decisivo impulso all’affermazione della famiglia borghese che attua una più netta separazione tra economia domestica ed economia aziendale.
Nel corso del suo sviluppo, la suddetta famiglia (detta anche “acquisitiva”3) genera, per antitesi, la famiglia proletaria che sopravvive unicamente grazie al proprio lavoro.
Quest’ultima possiede solo la prole e dipende totalmente dal mercato capitalistico.
Essa viene meno quando declina la famiglia borghese.
Con il potenziamento del ruolo dello Stato (Welfare State), i cambiamenti strutturali del mercato (e cioè diffusione della grande organizzazione, affermazione del “terziario”, ecc.) e il dominio dell’industrializzazione, si modificano anche le forme familiari.
Alla famiglia borghese classica succede la famiglia manageriale o tecnocratica, privatistica.
Essa, pur essendo privilegiata nell’accesso ai beni ed ai servizi, ha un minore acquisitività.
La famiglia proletaria (statisticamente prevalente) viene soppiantata dalla famiglia impiegatizia, nucleare, relativamente privatizzata, puerocentrica e consumistica.
Di recente apparizione, è la formazione tuttora in corso.
Le forme organizzative e le istituzioni precedenti subiscono un arresto o entrano in crisi.
Il settore trainante non è più il secondario (l’industria) ma il terziario avanzato.
Il Welfare State passato, burocratico, rigido e costoso viene ridefinito e trasformato in un welfare meno centralistico e statalizzato (detto “di seconda generazione”) in cui la famiglia gioca, teoricamente, un ruolo primario.
Tali cambiamenti generano maggiore concorrenzialità, flessibilità, mobilità e stimolano lo sviluppo di reti auto-organizzate.
La stratificazione sociale, pur persistendo, si fa meno distintiva.
La famiglia, “abbandonata” dallo Stato come istituzione sociale, diventa preda del mercato produttivo e consumistico che segue logiche comunicative, ostentative e di immagine.
Essa assume nuove valenze (“unità di servizi primari”) ma deve anche autoregolarsi per accedere ai servizi di un sistema societario in cui i diversi attori (Stato, mercato e privato sociale) si differenziano progressivamente.
Così la famiglia oscilla tra isolamento e reticolarità.
Riassumendo, il quadro, appena delineato, consente di fare due tipi di considerazioni:
1) In ogni formazione storico-sociale si può rintracciare una pluralità di forme familiari.
Ogni società contiene, al proprio interno, diverse sub-culture che non si integrano mai perfettamente ma costituiscono, più spesso, “mondi a parte”.
Una omogeneizzazione dei raggruppamenti familiari non è possibile.
Essa non transita da un polo (es. la tribù) ad un altro (famiglia nucleare isolata) né fluisce da forme omogenee a forme eterogenee.
In ciascuna società possiamo trovare sia modelli familiari più semplici sia modelli familiari più complessi.
La famiglia si allarga o restringe, acquista alcune funzioni e ne perde altre, a seconda del contesto sociale in cui è immersa.
UNIVERSALITÀ E VARIABILITÀ DELLA FAMIGLIA
Che cosa c’è di variabile e che cosa c’è di universale nella famiglia?
Universalità della famiglia.
“L’unione, più o meno durevole, socialmente approvata, di un uomo, una donna e i loro figli, è un fenomeno universale, presente in ogni e qualunque tipo di società” (Lèvi-Strauss).
N.B. Affermare che la famiglia nucleare è universale non significa che essa sia la sola forma familiare esistente o esistita né che sia necessariamente presente ovunque ma che, dal punto di vista empirico (esperienziale, pratico), è il modello più diffuso, seppur non sempre prevalente in ciascuna società!
Murdock (1968), in un ampio studio comparativo, ha dimostrato che la famiglia nucleare è un pre-requisito funzionale ed istituzionale che assolve importanti funzioni sociali (sessuali, economiche, riproduttive ed educative), non surrogabili da altre istituzioni ed essenziali alla sopravvivenza della società.
Essa è universale ed è caratterizzata dalla residenza comune, dalla cooperazione e dalla riproduzione.
Le realtà sociali in cui la famiglia nucleare non è esistita sono poche, atipiche (es. i Nayar nell’India del Sud, gli Ashanti nell’Africa meridionale) e non hanno avuto alcun seguito.
L’autore ha inoltre evidenziato che, nei tre tipi di organizzazione familiare da lui individuati (nucleare, poligama, estesa), il marito, la moglie e i figli piccoli costituiscono sempre un’unità separata dal resto della comunità.
Poi, a proposito della divisione intrafamiliare del lavoro, Murdock ha detto che: “ tutte le società umane conosciute hanno sviluppato una specializzazione (non utilitaristica ma cooperativa)….fra i sessi”, basata, maggiormente o meno, sulla “linea di divisione biologicamente determinata”.
Fin dalle origini, la famiglia ha dovuto costantemente combattere contro potenti spinte tese ad annullarla: in passato, essa era oggetto di forze che tendevano ad inglobarla all’interno di entità collettive; attualmente, è oggetto di forze che mirano a frammentarla, attraverso processi di individualizzazione dei singoli.
Questi ultimi hanno stimolato la comparsa di stili di vita altamente problematici o autodistruttivi, testimoniati dal tasso riproduttivo della popolazione che non è sufficiente a rigenerare la stessa.
Per concludere, è importante ribadire che la famiglia non è un gruppo sociale primario qualunque ma una realtà relazionale “primordiale”.
Essa consente il passaggio (onto e filo-genetico) dalla natura alla cultura perché:
La famiglia è un “sistema sociale vivente” che presiede alla riproduzione della società.
Variabilità della famiglia.
Per analizzare la variabilità, è necessario fare riferimento ai due assi che costituiscono la famiglia nucleare e cioè:
(sulle quali possono poi innestarsi reti di relazioni più complesse).
1) La relazione coniugale è detta matrimonio perché, anticamente, era usanza (romana e non) che la donna, sposandosi e, soprattutto, diventando madre nella casa del marito, portasse a quest’ultimo dei doni (matri-munia). Vedi C. Saraceno pgg. 88-89.
L’istituto della “dote”, che tuttora sopravvive in alcune culture e che fino a qualche decennio fa era presente anche nella nostra cultura, serviva a salvaguardare l’onore della donna.
Oggi, invece, nella maggior parte delle società, il matrimonio indica il patto reciproco che gli sposi sanciscono di fronte alla comunità civile e/o religiosa; esso inoltre indica, giuridicamente, che entrambi hanno gli stessi diritti e doveri.
Dando uno sguardo alle diverse culture, il matrimonio si definisce:
1a) monogamico, quando un solo uomo sposa una sola donna;
1b) poliandrico, quando una sola donna sposa più uomini;
1c) poliginico, quando un solo uomo sposa più donne4.
A proposito del matrimonio poliandrico e poliginico, la ricerca empirica ha dimostrato che entrambi, sono, in generale, dovuti a condizionamenti sociali ed economici particolari (es. pastori obbligati ad assentarsi da casa per periodi lunghi e ricorrenti, elevata mortalità infantile, cultura che enfatizza l’accrescimento della popolazione, ecc.).
Inoltre, nel matrimonio poliginico, esiste un ordine preferenziale delle mogli ed una netta distinzione tra questa forma di unione ed altre consentite (concubinaggio).
Sembra quindi che il modello monogamico sia quello più diffuso e che meglio risponde alle esigenze delle persone.
A parte questo, il matrimonio è previsto in tutte le società.
Tutte le società sentono cioè l’esigenza di regolare la relazione di coppia.
2) Rispetto alla relazione genitore/figlio, le forme familiari possono essere computate in base:
2a) alla linea di discendenza
maschile (patrilineare)5
femminile (matrilineare)6
2b) al numero di generazioni compresenti
2 generazioni (genitori-figli)
3 generazioni (nonni-genitori-figli)
4 generazioni (bisnonni-nonni-genitori-figli)
Dai suddetti due assi principali alcuni autori hanno costruito altre tipologie. Un es. al riguardo è la classificazione elaborata dal “Gruppo di Cambridge per la storia della popolazione e della struttura sociale”, guidato da Laslett.
Quest’ultimo, riferendosi alla famiglia europea, introduce il concetto di “aggregato domestico” (che include ma non coincide con la famiglia), inteso come gruppo composto da coloro che:
Rispetto ai 3 criteri menzionati, l’autore formula la seguente nomenclatura:
verticale (es. il parente è il padre del capofamiglia)
orizzontale (es. il parente è il fratello del capofamiglia)
verticale (es. marito, moglie, figlio e moglie di quest’ultimo)
orizzontale (es. due fratelli, rispettive mogli e figli)
Tale classificazione, pur avendo un’utilità nell’analisi strutturale, non consente di dire nulla circa il significato della famiglia nelle diverse epoche storiche.
Attualmente, a causa della crescente individualizzazione e pluralizzazione delle forme familiari, i tratti distintivi della famiglia si sono ulteriormente intorbiditi.
Oggi, infatti si tende a definire quest’ultima come tutto ciò che è “stare o sentirsi insieme”, dimenticando che essa è un gruppo sociale primario costituito da un preciso legame di coppia.
Le difficoltà connesse alla definizione di famiglia sono in buona misura dovute al suo carattere sovra-funzionale, cioè al fatto che essa soddisfa una gamma potenzialmente indefinita di funzioni (biologiche, psicologiche, economiche, sociali, giuridiche, politiche e religiose).
Tale sovra-funzionalità conferisce alla famiglia il carattere di “relazione sociale totale” e di simbolo sociale pieno, forte e persistente nella storia umana.
LE INTERMEDIAZIONI DELLA FAMIGLIA
La famiglia, simbolicamente, è una relazione di intermediazione tra:
1) Come si è già detto, la famiglia esercita sull’individuo una funzione essenziale: forma la sua personalità ed identità personale e sociale.
In essa e attraverso essa, si realizza la socializzazione primaria del bambino.
Quest’ultimo può maturare adeguatamente solo se i genitori (o altre figure familiari significative) instaurano con lui un intenso rapporto affettivo, cognitivo e comunicativo e forniscono occasioni di socializzazione con i pari.
2) La famiglia è il “luogo” dove gli elementi naturali (cioè le determinanti bio-psichiche, istintive, pulsionali, “irriflessive”) e gli elementi culturali (cioè imitativi, appresi, “riflessivi”) trovano una loro composizione.
È nella famiglia che il bambino apprende ad incanalare le pulsioni verso espressioni culturali adeguate.
È nella famiglia che l’adulto trova quel vincolo-risorsa che gli consente di trasformare i suoi aspetti più “spontanei” in modelli di interazione civilizzati.
3) La famiglia è l’ambito in cui l’individuo impara a distinguere tra interno ed esterno, tra sé e altro, tra familiare e non-familiare e, quindi, tra privato e pubblico.
Tale distinzione è primaria nella formazione della personalità del bambino e getta le basi per la successiva gestione della coppia da parte dell’adulto.
Quest’ultimo deve infatti saper trovare, nella relazione di coppia, un equilibrio (sempre relativo) tra mondo interno ed esterno.
Attualmente, nella società occidentale, definire e vivere la famiglia risulta assai problematico perché i confini fra ciò che, entro la coppia e le generazioni, è individuale o collettivo, naturale o culturale, pubblico o privato, subiscono costantemente uno spostamento.
Oggi, la famiglia è sottoposta a spinte apparentemente contraddittorie, “schizofreniche”.
Infatti:
1’) si dice che essa è il luogo in cui si realizza la massima individualizzazione (® frammentazione) ma anche il luogo deputato all’imprescindibile socializzazione primaria.
2’) nella famiglia stanno emergendo potenti spinte naturalistiche che, sebbene non neghino totalmente la cultura, sono tese a ricuperare gli aspetti espressivi più spontanei, intimi ed informali.
3’) la famiglia da un lato si “privatizza”, dall’altro si “pubblicizza”, diventando oggetto di interesse collettivo e di preoccupazione pubblica.
Essa persegue stili di vita soggettivi e narcisistici, tende a forme di aggregazione (tra i sessi e le generazioni) svincolate da obblighi sociali, considera le relazioni interne come emanazione del proprio “sé” e non interrelate al sociale, ecc..
Sul fronte opposto, pubblico, i genitori vengono considerati responsabili dei comportamenti “a rischio” dei figli, gli aspetti, un tempo ritenuti privati, quali le relazioni sessuali tra coniugi o l’allevamento dei figli vengono dichiarati di rilevanza pubblica, la cura e la tutela dei soggetti deboli (minori, anziani, handicappati, ecc.) vengono (parzialmente) affidati alla famiglia; in generale, avere o meno una famiglia diventa un titolo per godere o no di certi diritti, propri del welfare state.
Quindi, quanto più la famiglia si privatizza, tanto più suscita istanze di controllo sociale e viceversa.
Un altro dato caratteristico e paradossale del processo di modernizzazione occidentale risiede nel fatto che la pubblicizzazione o regolazione pubblica della famiglia da parte del sociale viene fatta all’insegna di una maggiore tutela dei diritti privatistici ed individuali (basti pensare alla normativa che salvaguarda i diritti di specifici soggetti quali la donna, il bambino o l’anziano).
La società post-moderna si comporta quindi in modo contraddittorio nei confronti della famiglia.
Eppure la famiglia persiste e si rigenera. Come mai?
Perché la famiglia è mediazione!
Essa non solo media tra i suoi membri e le varie dimensioni di vita ma anche tra le spinte opposte che l’attraversano, le quali provengono dall’esterno e dall’interno stesso della famiglia.
Recentemente alcuni autori hanno introdotto un paradigma, quello della “trascendenza della famiglia”, utile a comprendere il carattere mediativo insita in essa.
Tali autori reputano che esista un “dominio familiare” specifico, il quale differisce nettamente da quello di altri contesti sociali.
Essi individuano 7 “caratteristiche differenzianti” che distinguono la famiglia da organizzazioni di altro tipo:
Le suddette caratteristiche formano un insieme strutturato, unificato da una dimensione sottostante, denominata, appunto, “trascendenza della famiglia”7 in cui si gioca la capacità di mediazione della famiglia stessa.
Quest’ultima è una relazione che non può essere ricondotta all’individuo o al collettivo, alla natura o alla cultura, al privato o al pubblico.
Coito (dal lat. “coitus, -us”)= andare insieme
Coniuge (dal lat. “coniux, -ugis”)= che congiunge, che aggioga
Consorte (dal lat. “consors, -ortis”)= che ha la sorte in comune
Coppia (dal lat. “copula”)= adatto a legare insieme
Genere (dal lat. “genus, -eris”)= generare
Matrimonio (dal lat. “matri-munus” o “matri-munia”)= dono o doni della madre
1 Formazione storico-sociale = assetto tipico di una società.
2 L’unione di più villaggi forma la città detta polis.
3 La famiglia borghese viene tecnicamente denominata “acquisitiva” perché è caratterizzata da un forte orientamento al successo economico e alla mobilità sociale ascendente.
4 Il matrimonio poliandrico e quello poliginico sono definiti, congiuntamente, poligamici.
5 La forma familiare patrilineare è la più diffusa.
6 Tale concetto non deve essere confuso con quello di matriarcato che indica quelle famiglie (e non società) in cui la donna ha il predominio sull’uomo.
7 Questo concetto sta ad indicare che i legami familiari vanno “al di là” di altri tipi di rapporto, li superano.
Agrimonia 1.0
Progetto DOLORE CRONICO (e non solo…)
Parte anche ad Arluno (MI)
Leggi di piùUn viaggio alla scoperta dei 7 Chakra
Corso online Aprile-Maggio 2021
Leggi di piùIl Training Autogeno
Corso online Aprile-Maggio 2021
Leggi di più